CRITICA 2 - GADDA WALTER - Pittore

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CRITICA 2

CRITICA

La novità materia.
La visività dell’opera di Gadda si manifesta propriamente nell’ambito fenomenico della pittura, cioè della sua storia. Procede quindi per una successione di approfondimenti. Il primo concerne il quadro, che – al di là della sua configurazione fisica, anch’essa in evoluzione: dal supporto tradizionale a oggetto assemblato con vari materiali, soprattutto plastici e petrolderivanti; quindi sempre più vicino all’installazione di tipo tecnologico, con quanto comporta sul piano metaforico – non è più paesaggio o figura, e nemmeno la rispettiva evocazione, ma una superficie sulla quale vampate di colore, di taglio e grandezza differenti, suscitano scenari contrappuntati da ritmi e controritmi più rapidi o più lenti, che si accostano e si sovrappongno in uno sviluppo politonale nel quale si richiamano e si contrastano.
In secondo luogo, il passaggio a una pittura “cellofanata” o più precisamente “polipropilenica”, comunque oggettuale e, in sostanza, in un’installazione dipinta (perché il fenomeno pittura rimane fondamentale), sottende un decisiva progressione nell’applicazione delle risorse della gamma cromatica, sia del colore che del ritmo. La produzione più recente – dalla fine degli anni Novanta in poi, soprattutto degli ultimi due anni - presenta aggregazioni cromatiche più complesse all’interno di una ricchezza di gradi armonici più intensa. Questa evoluzione l’ha condotto a comporre opere emancipate sia dal concetto della dissonanza, sia da quello di un centro tonale costante e riconoscibile, al quale in precedenza era demandato il ruolo di principio unificatore di un organismo pittorico.
Il cambio di prospettiva non è di poco conto. Prima di tutto perché avviene in forma cosciente e controllata, quindi non istintiva e nemmeno “improvvisata”. Gadda mostra di conoscere gli strumenti del dipingere, esattamente come quelli del comunicare nei quali le variazioni di tono e di ritmo sono fondamentali. Questa duplice consapevolezza è determinante nell’aprire a una progressione di tipo storicistico. Mi spiego.
Sappiamo che i concetti della dissonanza (rapporto disarmonico tra gli elementi costitutivi dell’opera) e della difformità (rapporto antagonistico tra il lavoro dell’artista e la realtà visibile) sono alla base dell’operatività artistica dell’Espressionismo. Il quale si era manifestato come rifiuto dell’armonia classica: fatti emotivi e spirituali venivano rappresentati non mediante la resa delle forme “naturali”, ma attraverso il ricorso ad accentuazioni o deformazioni di diverso carattere. In questo l’Espressionismo si era avvalso di tutta una serie di risorse stilistiche quali la bidimensionalità, l’uso di colori violenti e di contorni marcatissimi, l’immediatezza “gestuale” del segno e della pennellata. Già il retroterra Informale della pittura di Gadda non si curava granché del suo filone organico; ha coltivato più un Informale per ampia parentela che non di stretta appartenenza. In particolare prescindeva da stilemi ricorrenti (le rive, la vegetazione, le teste, i crani ecc.) che ineluttabilmente si erano caricati di retorica, per concentrarsi sull’essenziale: dapprima sul segno e sul colore, adesso su segno, colore e materia.
Nell’autonomia del segno, concepito come traccia percettiva dell’attività psichica espressa attraverso il gesto e il colore, Gadda dava e dà forma, con una misura pittoricamente assai raffinata, a cose che, essendo interiori (o fisiche ma comunque percepite a livello interiore), non hanno forma fisica. Prescindendo dalla loro rappresentazione, continua a cogliere in queste immagini (paesaggi, atmosfere, cose, figure) un duplice infinito: nella dimensione esistenziale e in quella riferita alla memoria. Memoria ancestrale, antropologica, si badi bene; quindi affacciata sull’infinito del tempo e dello spazio. Ha continuato ad indagare la possibilità, il modo di organizzare questo doppio infinito. E proprio le capacità organizzative, evidentemente di tipo programmatico (nel senso che queste “regole” continuano ad essere presenti anche nel rinnovarsi della sua tavolozza), sono state poste come elemento decisivo della sua pittura. Muovendosi in punta di piedi sul crinale di questo doppio infinito, ha immesso nelle sue opere requisiti segnici che gli sono valsi ampi spazi di libertà, di non appartenenza a scuole e movimenti.
 
La novità ritmo.
Siccome un linguaggio espressivo basato sui ritmi e sui toni e sull’incessante dialogo tra loro conduce fatalmente alla musica, è possibile cogliere una coincidenza, che non credo casuale, tra l’incedere dell’opera di Gadda e l’Arte della Fuga di Bach. In entrambi i casi si ravvisa un’analoga volontà di individuare, per la musica e per la pittura, lo stesso principio endogeno che dirige il formarsi, lo svilupparsi e il concludersi dell’opera, assicurandosi un’autonomia totale attraverso il rispetto di precise regole. (Abbiamo visto che questo “rispetto” appartiene alla metodologia espressiva di Gadda). E in pittura come in musica lo spazio di libertà nell’ambito della struttura che lo genera è il contrappunto, che conosciamo esemplarmente in Bach e che ritroviamo puntualmente nell’opera di Gadda.
Indagando nelle opere più recenti, si può dire che Gadda abbia tratto le somme dalle esperienze precedenti. In particolare, il fatto che il totale espressivo (segno e colore), trattato in modo conseguente all’esigenza percettiva, escluda la predominanza di un tono su un altro, diventa una dei principi unificatori delle strutture espressive. In secondo luogo, il fatto che esista un rapporto implicito tra aggregazioni pittoriche e opzioni materiche, gli permette di unificare i percorsi compositivi considerandoli come proiezioni diverse di un’unica  realtà fondamentale, pur ampliando la gamma delle tonalità.





Amanti, 1970 - cm 116x90















Sfugge ai radars, 2003 - cm 90x60

 
 
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