CRITICA 6 - GADDA WALTER - Pittore

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CRITICA 6

CRITICA

MOSTRA PERSONALE
14 novembre - 23 dicembre 2010
LUGANO - GALLERIA L'INCONTRO
 
PRESENTAZIONE  A CURA DI STEFANO CRESPI
La mostra dedicata a Walter Gadda nello spazio della Galleria L’Incontro a Lugano è un’occasione per accostare la presenza di questo artista: il cammino, le strumentazioni, il legame profondo alla scena della contemporaneità, e unitariamente la riconoscibilità, il segno della propria espressione, l’atto della propria individualità. Nella varia esperienza lungo gli anni, risulta sempre difficile ritrovare le motivazioni che presiedono a una condizione artistica: a volte è uno scatto intuitivo, a volte è più una lenta meditazione. Illuminante risulta l’incontro con il pittore dove le tracce, i richiami anche imprevedibili possono concorrere a suggerire il senso, la direzione di una ricerca.
L’incontro con Walter Gadda è avvenuto al mio paese, in una stanza-studio della mia abitazione. Qui, come in un disguido della dimenticanza, in un’aria feriale, anonima, lievemente arcaica, ho avuto subito la percezione dell’orizzonte di questa pittura scorrendo tra le mani la successione nel tempo dei cataloghi.
Mi è sembrato di riconoscere lo stesso artista nel pensiero e nella poetica delle opere. Originario qui proprio in questo mio luogo è Ernesto Treccani (figlio dell’imprenditore, fondatore dell’Enciclopedia). Nel suo libro Arte per amore c’è una frase stupenda che amo citare. Doveva incontrare a Parigi Alberto Giacometti che non aveva mai conosciuto di persona. Scrive Ernesto Treccani che al Flore di Parigi (luogo convenuto per appuntamento) egli l’avrebbe riconosciuto perché <<ognuno di noi somiglia alle cose che fa>>. Giacometti era la figura di una sua scultura.
Walter Gadda è una presenza con un’intensità, con una pausa meditata di parole. Ma le brevi annotazioni che trascrivo nella conversazione sono così emblematiche. L’origine a Bergamo, soggiorni in Francia, occasioni espositive e viaggi in Svizzera (Zurigo, Winterthur, Coira). E poi un crocevia di studio, tra pittura, design, architettura.
Tutto ciò rivela un’ampia consapevolezza. Prima di soffermarsi su temi e forme specifiche, possono essere significativi alcuni richiami, alcuni rimandi che fanno intuire la complessità tra evidenza e <<immagine>>. Il maggior poeta francese vivente Yves Bonnefoy e anche scrittore d’arte (sua è l’immensa biografia a Giacometti) ha una nozione dell’arte come <<qui>> e <<altrove>>, come <<luogo>> (di natura) e <<vero luogo>> (atto linguistico), come pagina dell’esistenza e il cielo delle infinite peregrinazioni: per poi ritornare all’<<origine perduta>>.
In Walter Gadda c’è il mutamento, l’attraversamento. Ma non si cancella il primo sguardo della terra d’origine, quella fascinazione per esempio di opere nella sua terra lasciate dal Moroni, dal Lotto (Giovanni Testori si recava nel piccolo paese bergamasco di Ponteranica per vedere l’angelo del Lotto, <<un momento di luce sublime>>.
Dalmasio Ambrosioni ha avuto una vicinanza di lettura critica verso la pittura di Gadda. In due saggi delle sue presentazioni si legge di un <<connotato fortemente progressivo>>: dove l’opera e il suo significato <<si perpetuano riprendendosi e rilasciandosi>>, sono al tempo stesso <<una stanza e una soglia>>: sono l’itinerario di una continua <<frontiera>> tra un oltre e il lieve sgomento di ciò che è passato.
L’espressione di un pittore, e anche una esposizione hanno un’eventicità che può essere ricondotta a un giro vario di letture. Nel cammino di Walter Gadda possono essere sottolineati alcuni momenti: toccano via via la contemporaneità riscoprendo nel contempo inedite vibrazioni emotive. Negli anni in qualche modo d’esordio ritroviamo paesaggi, immagini, presenze, colori: una materia pittorica, con un fascino, dove già si intuisce un rapporto con le cose che è oltre il dato di natura. Certo riviste oggi sono opere con un bagliore di apparizione, tra congedo e i segni già visibili di una mutazione tecnica.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta si può riscoprire un ciclo di opere riconducibile, sia pure in modo libero, a un connotato del nero. Nel nero, oltre alla nozione <<senza titolo>>, cadono indicazioni tematiche come notturno, figura, uomo, corpo, impronte, radiografia, tracce, specchio, ombra. Un nero ossessivo, con tratti di inquietudine, dove sembra scomparire la presenza della vita e tutto diventa oscurità di archetipo, di <<figura>>, specchio frantumato, ombra perduta. È una posizione in qualche modo terminale nel cancellare tempo e spazio per entrare nella percezione di un alfabeto inconoscibile.
Da questa presenza-assenza del nero, dell’inconscio, del <<luogo>> psicologico, dell’ombra, si mette in moto la pittura di Gadda fino ad arrivare alle ultime stagioni. Un cammino che potrebbe essere indefinitamente raffigurato nelle sue polarità: dalla memoria al presente, dalla tradizione pittorica alla forma oggettiva, dall’io alla scena del linguaggio, da uno sguardo interno alla lucida visione, dall’ossessione alla fermata mentale.
La pittura entra in un’eventicità che sa porsi in relazione con l’oggi dove cade la temporalità e dominano le categorie mediatiche. Va subito detto che in Gadda permane il movimento interno della <<pittura>>, l’emozione, la spaziosità interiore: quella sorta di struggimento dei suoi cieli senza cielo.
Certo la saggistica, da vari punti di vista, ribadisce il cambiamento in cui siamo immersi: scompaiono le parole simboliche e la pittura appare e svanisce come su una superficie globale. Variamente le tendenze artistiche tendono a superare componenti diaristiche, <<letterarie>, metaforiche: gesti ed eventi si muovono in una realtà empirica, tecnologica, desublimata.
La pittura di Gadda diviene strutturale, compositiva, oggettiva; diviene fisicità, assemblaggio. Ma pure continuiamo a ritrovarvi quella <<pausa silenziosa>> (in una bella espressione di Gillo Dorfles).
Poniamo in accostamento (e quasi dialettica) alcune indicazioni dell’ultimo periodo: sogno, deserto, città oscurata; morbido-avvolgente, chiaro di luna, specchio; eros, icona; televisivo, slot machine; grande cielo rosso, grande cielo geometrico.
Si sa che i colori appartengono alla pensabilità, alla sintassi linguistica. C’erano i colori grammaticali della tradizione umanistica nell’arte e anche nella poesia: l’azzurro della nostalgia, il rosso dell’espressionismo, il giallo della follia, il grigio della malinconia, il bianco misterioso, il nero della notte. Oggi c’è una varietà fenomenica, l’infinita variabilità della comunicazione tecnologica.
I quadri di Gadda andrebbero accostati in un insieme unitario dove si evidenziano contaminazioni e silenzi, seduzioni e disincanti, purezze nell’impurità delle materie. Ci sono grigi, morbidezze indicibili, indecifrabili; sogni e azzurri senza lontananza; c’è l’eros in forme di kitsch e di scarto; c’è tutta la transitorietà appariscente e caduca del mezzo televisivo. Ci sentiamo coinvolti nelle occasioni, negli impossibili emblemi dell’esistenza.
Commuovono i cieli, cieli geometrici, il cielo <<capitonné>>. Non so rinunciare a richiamare Nicolas de Staël, quando in una lettera parla dei grands ciels: i cieli immensi nella sua tragica esistenza. Ci prendono i cieli di Walter Gadda. Non sono il simbolo dell’eterno. Ma, come affascinanti architetture, hanno il pathos, la forza geometrica del tempo
                                                                                 
Stefano Crespi



televisivo, 2010 - cm. 25x25





slot machine, 2010 - cm. 25x25







presenze, 2010 - cm. 45x70






orpo rosso, 2010 - cm. 81x81







slot machine, 2010 - cm. 25x25

 
 
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