CRITICA 5 - GADDA WALTER - Pittore

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CRITICA 5

CRITICA

MOSTRA PERSONALE - PALAZZO MUNICIPALE DI SERIATE
13 Maggio - 3 Giugno 2007
PRESENTAZIONE  A CURA DI ELIO GRAZIOLI
 
Potrà sembrare strano iniziare con un rimando a Marcel Duchamp, il quale, come si ricorderà, criticò la pittura in quanto arte “retinica”, che cioè si ferma all’occhio e non arriva alla mente. Dopo di che, è vero, da un lato si mise a trafficare con altri media più “concettuali”, ma dall’altro lanciò anche altre possibili indicazioni, una delle quali è quel Prière de toucher consistente in un seno di caucciù tutto da toccare, appunto. Non proprio scultura né oggetto, questo seno solitario non è neanche pittura, evidentemente, ma indica uno spostamento dal visivo al tattile che qui ci interessa in modo particolare.
Che cosa ha fatto passare infatti Walter Gadda dalle pitture tutte informali degli anni settanta e ottanta ai quadri di gommapiuma e polietilene degli anni novanta se non una riflessione del genere? Prima lo spessore della “pasta” pittorica informale, poi l’inserimento di materie altre, di mano in mano sempre più aggettanti, finché il quadro stesso è diventato oggetto, oggetto tattile, e in questo modo, contemporaneamente, oggetto altro (del resto, non si diceva già “autre” anche la pittura informale?).
In questo passaggio infatti il quadro si è gonfiato, arrotondato, ammorbidito, ha teso la sua superficie-pelle che è diventata pellicola e si è potuto anche riempire di materiali e “presenze” ulteriori, oltre al colore.
La pittura non è venuta meno, ma si è fatta corpo, e si è fatta tattile. Alcuni dipinti precedenti rappresentavano già delle figure antropomorfe, dei corpi, ma ora non si tratta più di rappresentazione bensì di un altro livello che mescola reale e metaforico. Corpo? Toccare? Ma cosa significa toccare il colore, la pittura? Il colore non si tocca, è fatto “retinico”, appunto! Si tocca la pellicola che lo ricopre – qui reale, di polietilene, ma sempre il colore ha una “pellicola”. Né, d’altro canto, si tocca la gommapiuma che dà corpo al quadro. Se ne sente la morbidezza, che dalla gommapiuma si trasmette al colore. Questa sinestesia, questo scambio di caratteri visivi e tattili tra di loro avviene proprio perché entrambi sono ricoperti, anzi, imballati, “confezionati”, come piace dire ironicamente a Gadda, con pellicola e perché essa è tesa, cioè visivamente opposta alla morbidezza. Le opere cominciano a costruirsi sui contrasti tra gli elementi che le compongono, su nuovi contrasti: non più i classici contrasti tra linea e colore, tra gesto e forma, tra pennellate e contorni, ma tra i diversi materiali e le loro caratteristiche fisiche.
Intanto, torniamo al “confezionare”, come lo chiama Gadda, in realtà non solo per ironizzare sul confezionamento di tanti oggetti-merce così come di tanta arte, ma anche per richiamare la nostra attenzione su un altro processo determinante e a cui tiene molto.
Il rimando infatti è subito al Nouveau Réalisme e al suo uso dei materiali e dei meccanismi della società di massa e dei consumi per scopi rovesciati, estetici invece che produttivi; al suo accumulare (Arman), impacchettare (Christo) o pressare (César). Ma ciò che conta è per l'artista soprattutto il fare i conti, il confrontare il suo percorso caparbiamente “pittorico”, neopittorico, con ciò che è accaduto e accade fuori dalla pittura e che tuttavia risulta essere in sintonia con la sua sensibilità e le sue scelte.
Questo confronto consente a Gadda di accostare e usare colori e forme che altrimenti non giustificabili, i colori e le forme dell’ipnosi del consumo, e decorazioni che, come in un Dewasne, acquistano tutto un altro senso, un senso riappropriato e stravolto. Questo permette anche certi ritorni di accenno figurativo, azzardato spesso sul filo dell’ironia, tuttavia di nuovo significativo perché letteralmente fuso dentro l’insieme dell’operazione. Torna del resto l’urgenza di manifestare la propria posizione, senza essere illustrativi e mimetici (nel doppio senso della parola).
Lo stesso vale – e ancor più – con il rimando che subentra poi all’Arte Povera. Qui sono allora i materiali a venire in primo piano e ad accentuare la forza dei contrasti e degli scambi. L'artista comincia con l’introdurre il metallo, duro, rigido, sporgente e un poco minaccioso. Gli spuntoni di metallo disegnano sullo sfondo, che è come un cielo per definizione senza limiti e senza forme, una rigida geometria che con lo sfondo-cielo non ha niente a che vedere, una “griglia”, direbbe Rosalind Krauss, che del cielo è l’opposto. L’ironia del titolo di questa serie di opere, Macchina per esportare la democrazia e il progresso, riprende e rilancia i temi “figurativi” e la presa di posizione di Gadda: gli spuntoni sono come gli aerei da guerra che solcano i cieli di fatti recenti e che pretendono di esportare democrazia e progresso così come di imporre geometria là dove non ce n’è.
Questi primi e più macroscopici contrasti ne innescano poi altri, in parte nuovi o rinnovati, così tra chiaro e scuro, tra lucido e opaco, tra sporgente e rientrante, per indicarne alcuni che avranno poi ulteriori sviluppi. Contemporaneamente anche l’impulso figurativo si fa a sua volta ancor più impellente. Certi oggetti – già in sé, come si noterà, fatti di unione tra duro e molle e tra gonfio e sporgente – come le camere d’aria delle ruote di automobile emergono dalle superfici di altre serie di opere prendendo forme allusive al corpo, ora dai rimandi esplicitamente erotici. È, evidentemente, per contrasto – ma contemporaneamente, sempre non senza ironia, anche per analogia – con l’“esportazione di democrazia e di progresso”: l’amore contro la guerra, ma al tempo stesso l’eros diventato consumo e scarto, frutto della stessa società dell’“esportazione”.
Poi la figura si fa più esplicitamente figura.
Prima, a dir la verità, Gadda torna per un momento indietro alle proprie origini, riprendendo le forme del corpo del suo periodo informale: è per ricordarci che ancora anche di quello si tratta, che il doppio rimando, mediato dal contrasto, è sempre centrale.
Ecco dunque che il metallo si modella in sagoma piatta, si fa silhouette di figure che vanno dal corpo alla bomba e poi ancora più chiaramente all’aereo, aereo minaccioso, da bombardamento, da guerra. È su questo ciclo che chiude questa mostra, dunque anche noi chiudiamo con esso. Sono solo aerei da guerra quelli che vediamo? Così come le loro forme continuano a rimescolare i giochi di contrasto di cui già abbiamo detto e ne introducono altri – il metallo si fa a sua volta opaco o lucido, pittorico o scultoreo, e le sagome oltre a sporgere ora si posano anche sulla superficie e la comprimono, fino, talvolta, a sparire nella loro impronta che campeggia al loro posto –, altrettanto in balìa dei rovesciamenti e dei contrasti anche le forme di questi “aerei” rigiocano il rimando al corpo, forse anche all’erotismo, forse rovesciandoli a loro volta. Sarà insomma azzardato vedere per contrasto sotto l’aspetto minaccioso di queste figure alate altri esseri alati che solcano il cielo più liberamente, loro sì liberamente, uccelli o angeli che siano o possano essere?
                                                                          Elio Grazioli






























macchine per esportare la democrazie e il progresso - 2007

 
 
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